lunedì 21 aprile 2025

Julia Deck - PROPRIETA' PRIVATA - Prehistorica

 
Julia Deck
PROPRIETA' PRIVATA
(titolo originale Propriété privée, Paris, Les Éditions de minuit, 2019)
traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala
Prehistorica Editore
collana Ombre lunghe
pp. 200, euro 17
ISBN  9788831234382

 
Eva è un’urbanista parigina che lavora attorno alla “nozione di spazio incerto” che coltiva sul balcone del suo appartamento. Col marito Charles, professore universitario afflitto da depressione e che vive rinchiuso sedato nella sua camera, decide di lasciare Parigi per rendere casa in un ecoquartiere di periferia. 
“Era tempo di comprare. La nostra scelta cadde su un piccolo comune in pieno slancio, sicuri di fare un buon investimento. Già svariati mesi prima di traslocare avevamo preso le misure dei mobili. Non vedevamo l’ora di vivere finalmente a casa nostra. E forse avremmo potuto realizzare quel sogno se, una settimana dopo esserci insediati, i Lecoq non si fossero trasferiti dall’altra parte del muro.” 
Annabelle, del resto, è la vicina indesiderabile, quella che non conosce pudore, che prende in prestito lo zerbino, che ascolta e spia, e che provoca un po’ tutti, soprattutto gli uomini. Con questa presenza invadente, unitamente a quella del gatto rosso dei Lecoq – che entra nella casa degli altri quando vuole – la vita che si preannunciava idilliaca diventa un vero incubo. Tanto che Charles Caradec, marito di Eva, la narratrice di questo romanzo crudele, non regge. Quando progetta di uccidere Pel di carota, la sua vita e quella di tutta la comunità degenera. 
Al di là del cinismo che attraversa queste pagine, del sorriso che suscita, si prova una sorta di terrore davanti a questo quadro iperrealista della nostra epoca. La penna appuntita di Julia Deck non fa sconti.

L'incipit
Uccidere il gatto sarebbe stato un errore, in generale e in particolare. L’ho pensato quando mi hai spiegato cosa intendevi farne del cadavere. Era aprile, ci eravamo trasferiti già da sei mesi. Le case appena costruite risplendevano sotto il sole umido di rugiada, i pannelli solari scintillavano sui tetti e il prato cresceva f itto ai due lati della nostra strada chiusa. Stavo travasando le calendule sotto la finestra della cucina e tu mi avevi accompagnato fuori. Le foglie svolazzavano tra le mie dita inguantate e tra le foglie i boccioli, gonfissimi, pronti a schiudersi sotto la pressione dei fiori. Avevi studiato nei minimi dettagli il piano per ammazzare pel di carota. Mentre appoggiato alla porta d’ingresso me lo illustravi, ho continuato a scavare nella terra senza rispondere. Molto probabilmente eri spinto dall’ira e le tue parole erano destinate a restare senza conseguenze, proprio come quando ti arrabbi per come è cotta la carne o per il calcare che si forma lungo i bordi della doccia. Ho schiacciato ben bene la terra e sistemato le radici in fondo al buco. Mi sono detta che la tua non era altro che una provocazione. Che se avessi avuto la minima intenzione di mettere in atto quel piano, avresti insistito per rientrare in casa, al riparo da orecchie indiscrete. Sapevi benissimo che lì non era possibile tenere nascosto niente. Proprio così, erano parole senza fondamento dette solo per insinuare il dubbio, per fare colpo. Ma poi, quando siamo andati a letto, ho ripensato alla tua idea di uccidere il gatto. Mi sono chiesta se sarei stata capace di tirare fuori la macchina dal garage dell’Intermarché, di guidare fino alla zona artigianale per andare a comprare degli antiparassitari. Di parcheggiare nel seminterrato di Leroy-Merlin sapendo di avere in mente un delitto, anzi no, peggio, un assassinio. Di prendere le scale mobili per salire al primo piano e chiedere astutamente consiglio al commesso per trovare il prodotto più adatto allo scopo, come se si trattasse di scegliere un paio di calzini al Monoprix. Mi sono chiesta in che momento il potenziale omicida diventa a tutti gli effetti un assassino e se avrei mai avuto il coraggio di varcare quel confine. La cosa più semplice sarebbe stata lasciare che ci andassi tu. Che prendessi la macchina e te la sbrogliassi da solo con quello stupido piano di uccidere il gatto. Ma erano anni che non guidavi. Non avresti certamente ripreso per l’occasione. Al buio mi sono vista versare il veleno e mescolarlo alle polpette di manzo. Posare la ciotola davanti al cancello del giardino. Aspettare l’arrivo di pel di carota. Ho sentito il contatto dei suoi peli con la mia pelle nuda, mentre immaginavo l’istante in cui, dopo aver lasciato che finisse di mangiare, l’avrei preso in braccio. Mi sono vista scendere in cantina per farlo agonizzare lì senza che desse nell’occhio e poi disporre del cadavere come avevi pianificato. Perché non si trattava semplicemente di uccidere il gatto. Ma di decretare il nostro trionfo, il nostro accesso alla proprietà privata.

Julia Deck (nella foto di Héléne Bamberger), voce elegante e contemporanea nel panorama francese, nasce a Parigi nel 1974 da padre francese, artista plastico, e madre britannica, traduttrice. Julia Deck ha studiato Lettere alla Sorbona, e la sua tesi verteva su La Principessa di Cléves. Lavora per un anno nell’editoria a New York. Dopo essere stata responsabile della comunicazione in diversi gruppi editoriali, nel 2005 si dedica completamente alla scrittura. 
In Francia è pubblicata dalle leggendarie edizioni di Minuit e da Le Seuil; in Italia il suo primo romanzo Elisabeth de Fauville è stato pubblicato nel 2014 da Adelphi, che lo ripubblica nel 2024 in edizione tascabile.  Vincitrice a novembre 2024 del prestigioso Prix Médicis. Questo è il suo secondo romanzo, dopo Sigma (2023), pubblicato da Prehistorica Editore. 



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