domenica 20 aprile 2025

William Atkins - TRE ISOLE - Iperborea

 
William Atkins
TRE ISOLE
Storie di mare, esilio e dissidenza

(titolo originale Exiles: Three Islands, Faber & Faber, 2022)
traduzione di Luca Fusari
Iperborea
collana I Corvi / 10
pp. 336, euro 19,50
ISBN 9788870917406
 
«William Atkins è uno dei migliori scrittori in circolazione.» Olivia Laing

Era il 2016 e William Atkins veniva scosso da due immagini gemelle, distanti migliaia di chilometri: i cumuli di salvagenti lasciati dai rifugiati sulle spiagge greche, visti in televisione, e gli ammassi di zaini abbandonati dai migranti sudamericani nel deserto dell’Arizona, visti di persona. Da qui nasce il viaggio di Tre isole: l’esigenza di trovare un altrove in cui stare meglio, che è alla base di tutte le migrazioni della storia, sembra ancora oggi animare il mondo. Ma cosa succede quando la migrazione è forzata, quando un Impero ha la facoltà di rimuovere personaggi scomodi e confinarli oltremare? Atkins racconta la nostalgia di tre esuli, tre ribelli sconfitti dalla storia del XIX secolo: Louise Michel, amica di Hugo, anarchica a capo della Comune di Parigi; Dinuzulu, figlio dell’ultimo re zulu riconosciuto dai coloni britannici; l’ebreo ucraino Lev Šternberg, dissidente antizarista, padre dell’etnografia russa. Atkins li segue nella terra del confino: in Nuova Caledonia, isola divisa tra identità tribale e dipendenza dalla Francia. Poi a Sant’Elena, esilio di Dinuzulu, scoglio disperso nell’Atlantico che oggi sembra un «ospizio a tema impero» in cui andare a caccia di farfalle e riscoprire un passato di schiavitù. Infine, come Šternberg, viaggia in nave nell’Estremo Oriente russo fino a Sachalin, arricchita oggi dal petrolio, ma come un tempo brutale e inospitale, soprattutto con gli indigeni nivchi. Un viaggio tra presente e passato per capire lo sradicamento di tre condannati alla nostalgia e la verità che sta al centro dell’esperienza dell’esilio e delle sue contraddizioni – libertà e prigionia, lontananza e vicinanza, imperialismo e ribellione.

Un estratto
È difficile risalire alle origini di un libro. Seguendone le radici nel terreno in cui è nato, si scopre che si ramificano quasi all’infinito. Due immagini nitide, però, mi rimangono. Nell’estate del 2016 su internet circolavano foto di migliaia di giubbotti di salvataggio abbandonati sulle spiagge greche dai migranti che avevano attraversato l’Egeo dalla Turchia: grandi morene arancioni, gialle, blu e nere. Mesi prima, camminando nel deserto dell’Arizona, avevo visto mucchi di zaini sul ciglio delle strade e nel letto dei torrenti in secca, lasciati dai migranti che avevano attraversato clandestinamente la frontiera con il Messico arrivando dall’America Centrale e non solo. Separati da oltre undicimila chilometri, quei due mucchi così simili erano un segno dei nostri tempi, ma raccontavano anche una storia più grande di migrazioni umane. Cominciai a ricredermi: forse la prima causa della nostra infelicità non era la solitudine, come avevo sempre pensato, ma il desiderio di essere altrove. Mi venne in mente che le vite di un altro tipo di emigrati, più antichi, i deportati politici, mi avrebbero mostrato quello che da soli non potevano mostrarmi i racconti di migrazione, esilio e prigionia: il senso della parola «casa», il funzionamento degli imperi e il conflitto tra rimanere e andarsene che sembra animare il mondo.
Il confino, una forma di esilio le cui origini risalgono all’antica Roma, tornò in auge nel tardo XIX secolo. Potremmo chiamarlo «esilio imperiale», dato che presuppone una potenza esiliatrice che controlla territori lontani dalla madrepatria. Per questo non è un caso che le persone di cui ho scelto di parlare siano vissute in un’epoca in cui l’imperialismo europeo era più rapace che mai, né che la destinazione del loro esilio fossero isole remote. Un’anarchica francese, Louise Michel; un re zulu, Dinuzulu kaCetshwayo; un rivoluzionario ucraino, Lev !ternberg: ciascuno sacrificò la propria libertà e la propria «casa» in nome di un’idea più grande di libertà e di casa: Michel in quanto figura di spicco del breve governo socialista della Comune di Parigi, Dinuzulu in quanto nemico del colonialismo britannico, !ternberg in quanto sostenitore militante dell’antizarismo in Russia. Mi hanno attratto perché la loro vita fu condizionata da venti che soffiano forte anche oggi – il nazionalismo, il dispotismo, l’imperialismo – e per il modo in cui ciascuno di loro reagì alla condanna; per come riuscirono ad assorbire la batosta dell’esilio, e a far sì che l’espulsione dalla madrepatria rafforzasse il loro senso del dovere, anziché smorzarlo. Li ammiravo, e in particolare ne ammiravo la capacità di tenere d’occhio l’orizzonte – cioè il futuro – dalle isole dove furono confinati: Michel in Nuova Caledonia, nel Pacifico meridionale; Dinuzulu a Sant’Elena, nell’Atlantico meridionale; !ternberg a Sachalin, al largo delle coste orientali della Siberia.

William Atkins è uno scrittore britannico. Nei suoi libri indaga la connessione tra i luoghi, chi li ha abitati, la natura e la storia. Con Un mondo senza confini (Adelphi 2023) ha esplorato i deserti di tutto il mondo e ha vinto lo Stanford Dolman Travel Writing Award. I suoi scritti sono apparsi su Harper’s, The Guardian e The New York Times.

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