domenica 13 aprile 2025

Piero Salabè - MORTACCI MIA - La Nave di Teseo

 
Piero Salabè
MORTACCI MIA
La Nave di Teseo
aprile 2025
pp. 384, euro 20
ISBN 9788834620618


Un conturbante viaggio agli inferi, in una Roma surreale, alla ricerca di un padre scomparso.
Pintor è un medico che ha lavorato tutta la vita al Policlinico. È un uomo dedito alla ricerca, innamorato della scienza. Un giorno, nella maniera più discreta possibile – abbandonando i suoi occhiali sul comodino – toglie il disturbo scomparendo nel nulla e lasciando i figli senza un perché. Mentre il resto della famiglia lo dà per defunto, Fabio e Lara non credono alla morte del genitore e decidono di cercarlo. Alcuni diari del padre indirizzano i due figli verso l’ospedale, nel frattempo chiuso e abbandonato. E se Pintor fosse proprio in quel Policlinico tanto amato, in qualche ala dimenticata, a portare avanti i suoi esperimenti? Fabio e Lara decidono così di avventurarsi tra laboratori sotterranei e padiglioni decaduti, in una città dei miraggi popolata di voci e visioni, dove i confini fra realtà, ricordi e immaginazione si fanno via via più labili.
Piero Salabè firma un romanzo toccante e profondamente umano, popolato da personaggi straordinari. Una storia poetica e di debordante inventiva che è un corpo a corpo serrato con la memoria, con il desiderio di mantenere in vita, a ogni costo e con ogni mezzo, chi non c’è più.

Un estratto
1.
 
“Lo senti il profumo del rincospermo, Aič? Le strade attorno al perimetro ne sono invase. L’ha piantato lui.”
“Piccole stelle bianche… A maggio scoppia l’epidemia, ma il Policlinico non esiste più, lo sai.”
“Chiudi gli occhi, e respira a fondo. Non senti come ci chiama? È lui.”
“Davvero mi vuoi ancora con te?”
“A piedi nudi.”
Il tappeto azzurro del salone ha un buco. Un buco grande al margine destro che i tarli allargano allegramente, anno dopo anno. A nessuno importa, neppure a me. Per me basta che ci sia ancora questo tappeto, che mi ci possa sdraiare sopra e lasciare che le cose passino. Mi manca l’aria in mezzo alle foto ingiallite, alla carta da parati rigonfia, sotto il lampadario di Murano, accanto ai tavolini con le sigarettiere e i tagliacarte d’argento. Ma nessuno fuma più né scrive lettere. E il vaso cinese, quante volte si è rotto? Nessuno ha mai visto il cristallo di cui anche noi eravamo fatti. Quei visi che sbiadiscono ogni anno di più. Come si chiamava la splendida zia con la sclerosi? Mi sdraio qui nelle prime ore del pomeriggio, dopo pranzo nessuno viene, adesso che qui ci abita solo mia madre, salvo le visite di noi quattro figli. Tutti emigrati. Anch’io, il letterato, come mi chiamava papà, parola che ancora mi ferisce. Non sono cresciuto, sono solo invecchiato. Da una settimana, all’alba suonano gli operai. Stanno dividendo la casa con un muro di cartongesso. Sono mesi che in famiglia dicono di volere vendere, ma a Roma i prezzi non fanno che scendere. D’altronde, chi mai verrebbe a vivere in questa palude? Sdraiato fisso il soffitto e ascolto i rumori: le poche macchine che passano, un motorino, una madre che sgrida un bambino, il guaito di un cane. Poi nulla. Per due, tre minuti il vento alza lievemente la tenda, un tempo candida come un vestito nuziale, adesso sdrucita e opaca. Nessuno di noi sposato, nessun figlio in arrivo. Con noi tutto finirà. Adesso lo so, è questa mancanza d’aria che sono venuto a cercare, il tempo fermo. Un senso di dolce soffocamento. Una morte imminente che sembra non giungere mai, e che significherebbe davvero restare, farsi eterni. Non si può aspettare oltre per morire, mi dico. Altrimenti si avrà a che fare con un peso più vergognoso, la zavorra di una vita che prosegue. Non so se io non sia già morto. Per molto tempo ho creduto che così fosse avvenuto in una landa luminosa dei miei venti anni. Ma oggi ne dubito. Sarà per questo che torno. A Roma si viene solo a morire.
 
Era scomparso quattro anni fa. Dicevano fosse morto. Mandavano le foto del funerale, la bara sommersa dai fiori. Ma quando avvenne il presunto decesso, e anche prima, quando dicevano che stava per morire, io non c’ero. Non c’era nessuno di noi nella casa di riposo ai Campi di Annibale, sulle pendici del Monte Cavo. Nessuno era in quella stanza al piano terra quel giorno. Neppure gli infermieri che trovarono i suoi occhiali e l’orologio sul comodino accanto alla finestra spalancata. Tutti certi che papà avesse voluto togliere il disturbo nel modo più discreto possibile, come era nella sua natura, lasciandosi cadere in uno dei pozzi artesiani sparsi nei campi. Voragini insondabili. Ma perché allora mancava la borsa da medico che si era fatto portare nella casa di riposo? La polizia fece una battuta superficiale, esaminando anche i pozzi.
“Non possiamo controllarli tutti,” fece sapere il commissario incaricato. “Comunque a quell’età e in quelle condizioni non poteva certo sopravvivere a una caduta.”
Dopo due mesi, furono interrotte le ricerche.
“È stato il suo modo di tornare alla natura,” diceva chi non tratteneva un certo sollievo.
Sono passati ormai quattro anni, ma io non ci sto. Deciderò io quando sarà il momento di congedarmi. Capisco la stanchezza di chi lo accudiva, quella malattia che non finiva, ma sfiniva chi gli stava attorno. Volevano mettere un punto finale. D’accordo. Ma per me lui non ha fatto che fuggire, come le altre volte. Non sarebbe il primo professore scomparso. D’altronde era sempre in fuga.
“Se ne è andato.”
“Il Professor Luigi Pintor, medico stimato e ricercatore di fama internazionale, ci ha lasciato.”
“Uomo fino, anima di poeta, è mancato nell’affetto dei suoi cari.”
Stampate pure i vostri necrologi zeppi di errori, seppellitelo dove vi pare. A me, nessuno dice come io debba trovare mio padre. Tranne Aič.

Piero Salabè, nato a Roma nel 1970, ha studiato a Venezia, Londra, Roma e Monaco di Baviera, e si è addottorato con una tesi su Claudio Magris. Da più di 20 anni lavora come traduttore, editor e curatore e vive a Monaco. Ha lavorato per le case editrici Antje Kunstmann Verlag e Hueber; dal 2008 è responsabile presso Hanser Verlag del lettorato dei titoli di lingua inglese, italiano e spagnolo. Traduttore di vari poeti italiani in tedesco (Patrizia, Cavalli, Milo De Angelis, Valerio Magrelli), crive poesie, saggi e racconti e ha collaborato, fra gli altri, con “Lo Straniero”, “Die Zeit” e “Neue Zürcher Zeitung”. Presso La nave di Teseo ha pubblicato la raccolta di poesie Il bel niente (2019), tradotta in varie lingue.

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