lunedì 21 aprile 2025

Thom van Dooren - IN VOLO - Nottetempo

 
Thom van Dooren
IN VOLO
Vita e morte sulla soglia dell’estinzione

(titolo originale Flight Ways: Life and Loss at the Edge of Extinction, Columbia University Press 2016)
traduzione di Lorenzo Vetta
Nottetempo
collana Terra
aprile 2025
pp. 264, euro 18,90
ISBN 97912548018642

 
In questo libro commovente e illuminato Thom van Dooren mette la filosofia ambientale in dialogo con le scienze naturali e l’antropologia per far emergere tutto il significato culturale ed etico delle estinzioni contemporanee. A differenza di altre riflessioni su questo tema, In volo racconta alcune “storie vive” di specie animali in pericolo nella loro complessità di forme e nessi: perché, nelle reti di relazioni condivise che si intrecciano sul pianeta, l’estinzione di una specie non è mai un fenomeno isolato, con conseguenze ristrette. Nell’attuale “sesta estinzione di massa”, di origine perlopiù antropogenica, i fili spezzati smagliano porzioni allargate di esistenza terrestre, compromettendo ecosistemi a catena. Ogni capitolo, illustrato da fotografie, si concentra su un gruppo di uccelli a rischio: gli albatros del Pacifico settentrionale, gli avvoltoi indiani, una colonia di pinguini in Australia, le gru del Nord America e i corvi hawaiani. Non più solo entità astratte dai nomi latini, queste specie in pericolo ci pongono interrogativi inaggirabili: sui filtri antropocentrici che ancora reggono la distinzione umano-animale, sulle responsabilità etiche verso le “traiettorie” e i “modi di vita” recisi, sugli approcci alla cura e alla conservazione. In un pianeta coabitato e coevoluto con gli altri viventi, riconoscere la dignità del lutto di e per queste esistenze senzienti è il primo passo per non rassegnarsi a un’era di perdite.

Introduzione.
Raccontare storie piene di vita sulla soglia dell’estinzione
Come potrebbe cominciare un libro sul rapporto tra uccelli ed estinzione se non con la tragica storia del dodo? Nella morte, questo uccello originario di una piccola isola situata nella parte occidentale dell’Oceano Indiano ha conosciuto una curiosa fama, diventando una sorta di testimonial dell’estinzione. Eppure, le idee sul dodo presenti nell’immaginario collettivo sono perlopiù frutto di speculazioni. Di fatto, sul suo conto diverse cose rimangono ancora poco chiare: che tipo di uccello fosse, come vivesse e quando scomparve. Sebbene esistano racconti, disegni e dipinti risalenti al xvii secolo, è difficile determinare quanto siano accurati e fondati su esperienze di prima mano. Come nel gioco del telefono senza fili, sembra che una buona parte di questi resoconti e di queste immagini si fondasse su altri resoconti e su altre immagini, con vari gradi di licenze poetiche (Hume 2006). Tuttavia, sappiamo che i dodo (Raphus cucullatus) erano grandi uccelli incapaci di volare che vivevano esclusivamente sull’isola di Mauritius. È probabile che mangiassero frutti caduti dagli alberi, oltre a semi, bulbi, crostacei e insetti. E di frutti dovevano essercene in abbondanza prima dell’arrivo degli esseri umani, quando non erano presenti altri mammiferi terrestri (Livezey 1993: 271). I dodo avevano quindi presumibilmente meno concorrenti per il cibo rispetto a quanto accadeva altrove ad altri uccelli, ma soprattutto non convivevano con nessun importante predatore – una situazione che non li preparò affatto alle conseguenze dovute alla comparsa dell’essere umano.
Non si sa quali furono i primi uomini a posare gli occhi sul dodo e sulla sua forma peculiare. Forse alcuni commercianti arabi che probabilmente scoprirono l’isola nel xiii secolo. O forse i navigatori portoghesi che cominciarono a visitarla qualche centinaio di anni dopo (dal 1507 in poi). Tuttavia, da quel che si sa, nessuno di loro si stabilì nell’isola di Mauritius e non esiste una prova documentale di un loro incontro con un dodo. I primi racconti affidabili sul dodo vennero scritti dagli olandesi dopo il loro arrivo in loco nel 1558 (Hume 2006: 67). Da lì in poi, per circa un secolo la Compagnia olandese delle Indie Orientali usò l’isola di Mauritius come “terreno da pastura e da allevamento di bestiame e come fonte di carne indigena selvaggia” (Quammen 1996: 265). Fu l’inizio della fine per il dodo. Che oltre a finire esso stesso sul menù – insieme a tartarughe e a svariati altri uccelli del posto – pagò a caro prezzo l’introduzione intenzionale o involontaria di numerosi mammiferi per mano degli olandesi. Parte del problema fu indubbiamente la vulnerabilità di questo uccello al cospetto di marinai e coloni affamati. Essendo incapace di volare, e non avendo alcuna esperienza di contatto con predatori, veniva catturato facilmente con le mani o preso a bastonate (ivi: 266-268). Anche se nel corso dei secoli si è spesso insinuato che la sua carne fosse sgradevole e quindi raramente consumata, oggi sembra che non fosse così. Il paleontologo ed esperto di dodo Julian Hume (2006: 80) ha fornito infatti molte testimonianze di prima mano sull’“apprezzamento” da parte degli olandesi per la carne di quest’uccello – in particolare per il petto e per lo stomaco – e sul fatto che ogni giorno ne venissero catturati e mangiati molti esemplari. Tuttavia, dopo l’arrivo dell’uomo, è probabile che a causargli i maggiori problemi fu la comparsa di altre specie animali. La prima delle quali, quantomeno da un punto di vista cronologico, fu verosimilmente quella del ratto comune (Rattus rattus). Sull’isola di Mauritius, così come in diversi altri posti dove attraccavano all’epoca le navi europee, i ratti si trasformarono in una forza devastatrice. Le uova di dodo e i pulcini, che fino ad allora non avevano avuto bisogno di particolari protezioni, rappresentavano una fonte facile di cibo. Poco tempo dopo, nei primi decenni del xvii secolo, ai ratti si aggiunsero altre specie – in particolare macachi granchivori, capre, bovini, maiali e cervi. Tutti questi animali recitarono un ruolo nel declino del dodo: come predatori, concorrenti per il cibo, o entrambe le cose (Hume 2006: 83). Non esistono testimonianze di visitatori che riferiscano di incontri con un dodo dopo gli anni ’80 del 1600, e tutto porta a credere che la specie alla fine del xvii secolo si fosse ormai estinta (Hume, Martill e Dewdney 2004). Dopo migliaia di anni passati a rimpinzarsi di frutti, improvvisamente il dodo fu costretto a convivere con la cultura europea e, altrettanto improvvisamente, sparì dal mondo. Sebbene non si tratti di certo della prima specie sulla cui scomparsa gli umani hanno recitato un ruolo centrale, il dodo occupa un posto peculiare e iconico in numerosi racconti contemporanei sull’estinzione. Questo uccello e questo processo biologico sono diventati stranamente sinonimi. Se provate a chiedere al primo passante che incontrate per strada che cosa sa del dodo, può essere che vi risponda che viveva sull’isola di Mauritius; e forse potrebbe persino aggiungere che era un uccello che non volava; di sicuro vi dirà che è estinto. (…)

Thom van Dooren è un antropologo e filosofo ambientale “sul campo” che si occupa di estinzione e conservazione delle specie animali. È professore di Environmental Humanities e vicedirettore del Sydney Environment Institute presso l’Università di Sydney. In volo (Flight Ways) è stato tradotto in diverse lingue ed è ormai considerato un classico.

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