Antonio Paolacci, Paola Ronco
ROSSO PROFONDO
Ubagu Press
aprile 2025
pp. 420 , euro 16,90
ISBN 9791282079013
Il 15 settembre 1991, sotto un viadotto della tangenziale torinese, viene ritrovato il corpo di una donna vestita con un vistoso abito rosso. Si chiama Franca Demichela, ma i giornali la chiamano subito «la signora in rosso», citando il titolo di un film di qualche anno prima, e così ancora oggi è ricordata. Il caso, rimasto all’epoca irrisolto, porta inquirenti e opinione pubblica a dividersi in due fazioni opposte.
Trent’anni dopo, scavando tra testimonianze e archivi, una coppia di scrittori inizia a raccontare quel caso proprio quando la procura decide di riaprirlo. Ne nasce un’indagine su un omicidio che va oltre la sola ricerca di un colpevole e diventa uno straordinario romanzo dal vero. Partendo dagli anni in cui tutto iniziava a cambiare e dal cuore oscuro di Torino, città simbolo del sistema economico italiano, nonché capitale dell’esoterismo e dell’occulto, Rosso profondo narra una storia che si dipana attraverso il prisma distorto dei luoghi comuni, misteriosa come ogni delitto, impietosa come un’inchiesta sull’anima inquieta di questo paese.
Un estratto
15 settembre 1991
L’uomo che dorme su un divano sfondato ancora non lo sa, che tra poche ore il suo regno sarà percorso da centinaia di piedi estranei, frugato e fotografato in ogni angolo. Per lui, quella è ancora una normale domenica pomeriggio di fine estate da passare sotto un ponte, il solito ponte, dove lui vive. È il 15 settembre del 1991. A quasi diecimila chilometri da lì, i Red Hot Chili Peppers stanno per lanciare l’album Blood Sugar Sex Magik con il pezzo Under the Bridge, un brano malinconico che parla di tutt’altro ponte e che è insieme un grido di solitudine e una dichiarazione d’amore per la cosiddetta città degli angeli. Qui, dove l’uomo sta dormendo il sonno schiantato degli ubriachi, il ponte è basso, circondato da piccole sterpaglie e un incrocio di stradine di campagna che si diramano nei dintorni. Il fango è una melma densa che si insinua tra le crepe del cemento grigio e il verde avvelenato delle erbacce; il rombo delle auto sulla tangenziale arriva a ondate, fino a diventare sottofondo. L’uomo si chiama Luigi Jourdan, ha cinquantasette anni e ci vive da dieci anni, qui a Frazione Barauda, sotto il cavalcavia che sovrasta la tangenziale Sud di Torino, tra La Loggia e Moncalieri. Intorno a lui, di fianco al torrente Chisola, all’ombra mida del cemento, si innalza il suo santuario della spazzatura, eretto nel tempo raccogliendo materiali di scarto. Ogni oggetto ammassato in quell’angolo ha un ordine particolare, e sembra portare su di sé il peso di una storia dimenticata: coperte impregnate di umidità, carcasse di mobili usate come paravento, poltrone sfondate, cassette ammucchiate, fustini vuoti e ritorti del Dixan, un carretto straziato, una bicicletta rugginosa. Accanto a un vecchio baule e a un tavolo, come in una frantumata parodia di cucina, un rottame di frigorifero fa da dispensa, intorno a sedie sconnesse rovesciate e altre che si spargono più in là, dove il cavalcavia si abbassa fino a toccare il suolo, su quel tratto di provinciale in cui le prostitute aspettano i clienti. Sono quasi tutte straniere, nigeriane o slave, i corpi esposti a ogni stagione, strizzati in minigonne attillate, in reggiseni imbottiti, in shorts minuscoli. Vengono lasciate in questo ciglio lurido dai loro sfruttatori perché da qui possono muoversi con facilità nelle stradine melmose più isolate: portarci i clienti in auto, oppure accoglierli in qualche baracca scassata; o ancora scappare, dalla forza bruta o da quella pubblica. Di giorno, sotto la pioggia come sotto i raggi spietati del sole, le loro figure riparate dagli ombrelli sono elementi paesaggistici per chiunque passi in auto. Ritrovare sempre lì, sul bordo della strada, queste donne usate come merce da uomini che le vendono e le comprano trasforma lentamente la pena in qualcos’altro: in fastidio, per tanti; in abitudine per tutti. Luigi Jourdan conosce quasi ognuna di loro. Per esempio quella che si fa chiamare Lisa porta i clienti abituali in una baracca proprio a pochi passi da lui. Lei e le altre lo chiamano Ciano, come fanno le persone dei dintorni; a volte Luciano. Il cognome non lo sanno e non hanno bisogno di adoperarlo; è anche per questo, probabilmente, che negli anni verrà scritto sbagliato sui giornali, senza la u.
Antonio Paolacci (Maratea, 1974) e Paola Ronco (Torino, 1976) vivono a Genova e sono compagni di vita. Dopo diverse pubblicazioni da solisti, hanno esordito a quattro mani con Nuvole barocche (Piemme, 2019), il primo della serie di Paolo Nigra, vincitore dei premi NebbiaGialla, Giallo al Centro e Glauco Felici, seguito da Il punto di vista di Dio (Piemme, 2020), finalista al Premio Fedeli, Tutto come ieri (Piemme, 2022) e La notte non ha bisogno (Piemme, 2024). I romanzi, opzionati per una serie tv, sono pubblicati o in via di pubblicazione in Francia (Rivages Noir) e Danimarca (Forlaget Mellemgaard). Nel 2023 è uscito il loro primo saggio, Tu uccidi. Come ci raccontiamo il crimine (effequ).
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